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lunedì 17 ottobre 2011

GENNARO DE ANGELIS, UCCISO PERCHE' NON SI PIEGO' ALLA CAMORRA DI CUTOLO

Gennaro De Angelis  - Agente di custodia
Vogliamo ricordare Gennaro De Angelis, l'agente di custodia ucciso a Cesa (Caserta) il 15 di ottobre del 1982. Gennaro è uno di quelli che non si piegò alle minacce della camorra che comandava nelle carceri, quella legata al boss Raffaele Cutolo. Per questo venne ucciso in un circolo di Cesa da alcuni camorristi che entrarono simulando una rapina. Gennaro era il papà di Vincenzo, attuale sindaco del Comune di Cesa. Un ragazzo per bene dagli occhi tristi. Un primo cittadino che è stato a sua volta minacciato di morte alcuni mesi fa, quando una mano vigliacca ha scritto sulla tomba del proprio genitore “Farai la stessa fine”. Vincenzo non ha mollato e tiene alto il nome del suo papà che per anni è stato dimenticato. A lui, e a tutte le persone per bene, va il nostro sostegno incondizionato.
La storia è tratta dal mio libro “Al di là della notte” ed. Tullio pironti
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«Fermi tutti altrimenti vi ammazziamo». Il tono è deciso, la voce è ferma, il volto è coperto. Nel circolo della Madonna dell’Arco di Cesa cala un gelido silenzio. Sono entrati due ragazzi e hanno le pistole in pugno. Sono scesi da un’auto proprio davanti al circolo che si trova in via Roma, al centro del paese, nei pressi del Municipio. Una trentina di persone, come ogni sera, sta giocando a carte ai vari tavolini nelle tre stanze a pian terreno. «Eccoli, è la solita rapina», dice sottovoce uno dei presenti. Ma i due, dopo uno sguardo d’intesa, vanno decisi verso un tavolo. Cercano una persona in particolare. «Eccolo, è lui», dice uno dei due. Gli si avvicinano. Attimi di tensione. Gli sparano alla testa a bruciapelo. Il corpo si abbassa riverso sul tavolino. A cadere sotto i colpi di pistola è Gennaro De Angelis, trentasette anni, agente di custodia nel carcere di Poggioreale, dove era addetto alla spesa dei detenuti. Alcuni colpi feriscono un’altra persona che era vicino alla vittima. Si tratta di Pasquale Marino, sessanta anni, pensionato. Tutta la sparatoria dura meno di un paio di minuti. Fuori c’è l’auto ancora in moto guidata da un altro complice. I due escono in fretta dal circolo e salgono sulla vettura che li stava aspettando. Fuggono in direzione di Aversa. Sono le venti e quindici del 15 ottobre 1982.

Tutti quelli che erano nel circolo scappano. Solo due persone si fermano e trasportano in ospedale ad Aversa Pasquale Marino. Anche lui non ce la farà. Morirà quattro giorni dopo al Cardarelli di Napoli. Gennaro De Angelis, invece, rimarrà lì a terra. La notizia dell’omicidio si sparge in un baleno. Arriva la moglie di Gennaro, Adele. La scena è straziante. Adele è incredula. Comincia ad urlare, si mette le mani in faccia. Si tira i capelli. Piange disperata. Non sa darsi una spiegazione di tanta ferocia. Dopo pochi attimi, però, Adele ha come un sussulto. Il pensiero va ai propri figli. Enzo, nove anni, il più grandicello dei tre, non è a casa. Ancora in preda alla disperazione, trova la forza di alzarsi da vicino al corpo senza vita del marito e corre verso la piazza. Va in cerca del primo figlio. Si avvia verso il campetto di calcio poco distante. Enzo, il primogenito, doveva essere sicuramente lì.

Il figlio Vincenzo De Angelis
«Giocavo a pallone con alcuni amichetti proprio lì vicino», racconta Enzo, oggi sindaco di Cesa. «Sentimmo gli spari, pensavo fossero mortaretti. Poi, invece, quando capimmo che erano colpi di pistola, scappammo tutti verso casa. Abitavo a pochi passi. Ad un certo punto vidi mia mamma correre verso di me con le lacrime agli occhi. Era disperata. Non capivo il perché. Ma non tardai a rendermi conto di quello che era accaduto a mio padre. Dopo qualche giorno capii che quei colpi di pistola avevano ucciso anche una parte di me. Quegli spari non li scorderò mai. Ogni volta che con la mente torno indietro a ricordare quei momenti, provo lo stesso stato d’ansia, la stessa paura, la stessa angoscia di quando avevo nove anni. Nel giorno dei funerali c’erano tante persone. Non capivo niente. Cercavo solo di stare quanto più vicino a mia madre. Sulle scale della chiesa, mentre il feretro di mio padre usciva per dirigersi verso il cimitero, mia mamma mi guardò e disse a voce alta: “Ora sei tu il maschio della casa. Tocca a te prendere le redini della famiglia”. Mi sentii crollare il mondo addosso. In un attimo la mia spensieratezza volò via. In quel momento ero diventato grande pur avendo solo nove anni».

Gennaro De Angelis era sposato con Adele Re, da cui aveva avuto tre bambini: un maschio, Enzo, e due femmine, Marianna e Annamaria. Il 15 ottobre del 1982, il giorno in cui fu ucciso, avevano rispettivamente nove, cinque e tre anni. Gennaro De Angelis era nato a Cesa, in provincia di Caserta, il 26 ottobre 1945. Si arruolò nell’ex Corpo agenti di custodia all’età di ventuno anni e assegnato alla Casa circondariale di Pisa. Restò quattro anni nella città toscana. Fu poi trasferito, su sua richiesta, alla Casa circondariale di Poggioreale a Napoli. Voleva stare più vicino alla famiglia. Qui lo assegnarono alla ricezione pacchi dei detenuti. Fu proprio questo compito a condannarlo a morte. In quegli anni la Nuova Camorra Organizzata, il clan del boss Raffaele Cutolo, ammazzava chiunque si rifiutasse di mettersi al servizio del clan e negasse favori. Gennaro De Angelis si era rifiutato di fare qualche favore ai detenuti di Poggioreale. Questa è l’unica spiegazione di quell’omicidio.

La scritta sulla tomba di Gennaro De Angelis
Come Gennaro sono caduti diversi agenti di custodia. Tutti quelli che non si piegavano alle richieste dei clan della camorra che in quel periodo si ammazzavano all’interno delle carceri come bestie. Far entrare armi nell’istituto di pena era uno degli obiettivi dei camorristi. Imponevano a suon di omicidi la legge del più forte. «La vita umana valeva davvero poco in quel periodo», ricorda Enzo, il figlio di Gennaro, «lo scontro tra clan della camorra avveniva a colpi di morti ammazzati. Mio padre fu vittima di chi voleva farlo diventare disonesto. Oggi sono fiero di lui. Ma è stata dura. Allora non c’erano nemmeno tutte le leggi che aiutano i familiari delle vittime della criminalità. Mia mamma, a soli trenta anni, con 600 mila lire di pensione e tre figli piccoli, ha fatto sacrifici enormi per portare avanti la famiglia. A quante cose abbiamo dovuto rinunciare io e le mie sorelle! Nei momenti difficili che ho passato, mi chiedevo: “Perché proprio a me? Perché proprio mio padre?”». «Mi è mancato tanto papà. Mi è mancato anche nelle cose più piccole, come quando litigavo con i miei coetanei e loro dicevano: “Adesso vado a chiamare il mio papà”. Io non ho potuto più dirlo. Non ho potuto farlo venire ai colloqui a scuola. Non lo avevo per i miei diciotto anni. Non lo avevo quando mi sono sposato. Ho dovuto crescere in fretta, passare dall’infanzia all’età adulta direttamente. E questo mi ha segnato. Mi ha dato un carattere forte. Perché se superi certi scogli non puoi che essere pronto a superare tutte le altre dure prove della vita. Me ne sono accorto da solo», dice quasi con amarezza Enzo De Angelis. «Poco tempo fa è morto un mio carissimo amico e io non ho pianto. Non ci riuscivo. Non avevo lacrime. Forse perché le avevo già versate tutte. Sì, me lo sono anche sognato spesso papà. Facevo sempre lo stesso sogno. Lo sognavo che lui veniva sul campo di calcetto dove stavo giocando quella sera che l’hanno ucciso. Stava vicino alla recinzione. Io mi avvicinavo e gli chiedevo: “Papà, ma dove sei stato tutto questo tempo?”. “Sono stato via, ho avuto da fare. Ma ora sono tornato. Non ti preoccupare, non ti lascio più”».

Per tanti anni Gennaro De Angelis è stato dimenticato. Tenuto vivo solo nel ricordo dei familiari. «A Cesa sapevano tutti dell’onestà di mio padre», afferma il figlio Enzo, «solo che nessuno mai ha sentito il dovere di rendere omaggio a mio padre come ad altre vittime. Da queste parti è sempre subentrata la paura e un comportamento da cittadino non esemplare».

Dopo tre anni dall’uccisione di Gennaro De Angelis, i carabinieri di Aversa individuarono in quattro appartenenti alla Nco gli autori del delitto. Erano già in carcere per altri motivi. «Mi pare che gli assassini di mio padre siano stati uccisi a loro volta. Non abbiamo seguito da vicino il processo. Ci interessava poco», dice Enzo De Angelis, «ci interessava di più tenere unita la famiglia. I sacrifici che ha fatto mia mamma in questi anni per tirarci su sono stati enormi e dovevamo tutti dare una mano. Lo dovevamo anche a mio padre che non c’era più. E in qualche modo siamo riusciti a risalire la china. Mia madre ha pagato il prezzo più alto. Ha sacrificato tutta la sua esistenza per noi figli. Ora dobbiamo starle noi vicino». Il ministero dell’Interno ha riconosciuto «vittima del dovere» Gennaro De Angelis e successivamente «vittima della criminalità organizzata».

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